Piaggio Vespa PX 125E


Era il 1977 quando nei listini Piaggio fece la sua comparsa la serie PX. Commercializzata inizialmente nelle sole cilindrate 125/200 (la 150 arrivò sul mercato solo l'anno successivo), grazie alle sue generose dimensioni, che si prestavano bene anche all'utilizzo in coppia, la PX riscosse fin da subito un notevole successo. Le prime P125/150 X, a differenza della più grossa P200 E, erano prive di indicatori di direzione (comunque disponibili come optional) e di accensione elettronica. Modifiche, queste, che furono introdotte anche sulle due cilindrate più piccole qualche anno dopo. Nacquero così le PX 125/150/200 E, con quest'ultima che assunse la nuova sigla solo per uniformarsi con le altre. Successivamente comparve la serie Arcobaleno, che si distingueva dalle precedenti per alcuni dettagli, tra cui la sella maggiormente imbottita e una nuova strumentazione. La PX uscì di scena nel 1988 per lasciare spazio alla nuova nata di casa Piaggio, la "COSA". Ma il nuovo scooter non riscosse il successo sperato, e così in Piaggio dovettero correre ai ripari riproponendo nuovamente, verso la metà degli anni novanta, la gloriosa PX dotandola, dapprima, dell'avviamento elettrico (già sperimentato sulle versioni Elestart) e del miscelatore automatico e, successivamente, del freno a disco anteriore. Purtroppo per rispettare le nuove normative antinquinamento furono costretti ad abbandonare l'ammiraglia 200. La PX restò in produzioni fino al 2007, quando i vertici decisero di dedicarsi esclusivamente alle nuove vespe automatiche e ai nuovi scooter. E quello fu il secondo grande errore di Piaggio dopo quello della "COSA". Perché a Kanpur, in India, dove avevano sede gli ex stabilimenti Piaggio, la LML continuò a produrre la PX, apponendole il proprio marchio e riscuotendo un più che discreto successo. A questo punto Piaggio tornò sui propri passi e dal 2010 anche a Pontedera ha ripreso la produzione delle mitiche PX 125/150. Che dire: un mito intramontabile! Ad oggi la PX risulta essere la Vespa più venduta in assoluto e anche la più customizzata.


Aprile 2016... Da alcuni mesi ero alla ricerca di un mezzo d'epoca da affiancare alle moto. Un mezzo semplice, robusto ed economico, e alla fine ho optato per una Vespa PX 125E del 1985 con 33.000 km alle spalle. Che per di più è spinta da un motore a due tempi che brucia olio e benzina proprio come piace a me. E non me ne vogliano gli ecologisti! E' stato come tuffarsi nel passato, ritornare ai miei 16 anni, quando l'importante non era dove andare, ma solo andare. Anche se allora la Vespa era una PK 125S e non una PX. Ma poco importa, le emozioni, nonostante sia passato un quarto di secolo, sono le stesse di allora. Anzi, a dire il vero da allora qualcosa è cambiato, sono più "vecchio" e di elaborare il motore, come feci allora, non me ne importa nulla... Almeno, per il momento!.. Subito l'occhio cattura tutti quegli elementi distintivi che l'hanno consacrata un mito assoluto delle due ruote: la scocca portante in acciaio, il cambio al manubrio, la sospensione anteriore ispirata a quella dei carrelli per gli aerei (che nel PX è anche dotata di un sistema antiaffondamento) e le ruote intercambiabili. Apro il rubinetto della miscela (fatta al 2,5% per stare più tranquilli), una pedalata decisa e il "vespone" comincia a borbottare e a fumare come ai tempi migliori. Pronti via... L'aria è "frizzantina", un po' troppo per il periodo, e il casco jet me la "sbatte" in faccia senza remore. Mi dirigo verso il centro città e già dai primi metri ci si accorge di quanto queste siano cambiate in questi anni. Di quanto sia cambiato il traffico. Le auto scorrono via veloci nonostante i limiti di velocità e sembrano farti il pelo ogni volta. Per non parlare dei dossi, soprattutto quelli posizionati appena prima di un incrocio o di una rotatoria. Il più delle volte ci si arriva sopra in frenata con la ruota posteriore che saltella e che ogni tanto tende al bloccaggio. Intendiamoci, la nostra PX è ancora divertente e sguscia via tra le auto senza alcun problema, ma ha dovuto cedere lo scettro di regina della città agli scooteroni, più moderni e facili da utilizzare. Ma quando arrivi in piazza e la parcheggi di fianco a quel plasticone privo d'anima, ecco la rivincita. Tutti gli occhi sono per lei. Sia quelli degli adulti nostalgici che quelli dei bambini incuriositi da questo strano oggetto d'altri tempi. E' quindi nella gita fuori porta che l'ormai "anziana" Vespa ritrova lo smalto di un tempo. Le generose dimensioni della PX permettono un discreto comfort di marcia e a velocità di crociera di 60-70 km/h si macinano chilometri e chilometri senza accusare la minima fatica. Al freno posteriore, visto le modeste prestazioni, si ricorre poco, e il più delle volte è sufficiente scalare marcia per affrontare la curva alla giusta velocità. In curva lo scalino dovuto al profilo troppo squadrato degli pneumatici originali non consente una percorrenza proprio fluida, ma si tratta di sottigliezze che non ne guastano il piacere di guida. Al limite per i più audaci consiglierei di sostituire gli pneumatici classici con una coppia dal taglio più sportivo, anche se questo significa perdere un po' di quell'aspetto vintage che tanto piace e di prestare maggiore attenzione in caso di fondo stradale viscido. Ma ribadisco, sono sottigliezze. In montagna sbuffa un po', e soprattutto con il passeggero a bordo qualcosa in più a livello di motore non guasterebbe. Ma d'altronde non è un mezzo pensato per la "sparata domenicale" sui passi di montagna, è un mezzo pensato per andare a passeggio tranquillamente e trascorrere qualche ora spensierata, magari in compagnia di qualcuno che ci sta a cuore.

E il benzinaio quasi te lo dimentichi.


Benelli Tornado Tre 900


La prima volta che ruggì fu nel 2000 in occasione del Tourist Trophy. La Benelli aveva organizzato una grandiosa Parata Storica per commemorare le vittorie sul "Mountain" di Dario Ambrosini, con la Benelli 250 bialbero nel 1950, e di Kel Carruthers, con la Benelli 250 "quattro cilindri" nel 1969. Vittorie che, in entrambi i casi, regalarono il titolo mondiale alla casa pesarese. Andrea Merloni, allora proprietario del marchio del leoncino, e Kel Carruthers scesero in pista con l'avveniristicaTornado 900 a tre cilindri, moto nella quale Andrea Merloni credeva molto, anzi, moltissimo. Perché la superbike Benelli, progettata dall'ingegner Riccardo Rosa (ex progettista della Cagiva 500 GP), doveva rappresentare il rilancio della casa del leoncino nelle competizioni. E nel giugno del 2001, a Misano, la Tornado, condotta dal collaudatore Peter Goddard, fece il suo esordio nel campionato riservato alle derivate di serie. Purtroppo, gli scarsi risultati e gli elevati investimenti spinsero la gestione Merloni sull'orlo del fallimento e, nel 2005, l'azienda pesarese fu acquisita dal gruppo cinese Qianjiang.

Gennaio 2007... Dopo sette anni da quel primo ruggito sull'Isola di Man, uno dei primi esemplari della Tornado 900 biposto (del 2004) si trova nel mio garage, sorvegliata a vista, e non senza gelosia, da quella che fino ad allora era stata l'unica "piccola" di casa: la Kawasaki 636. Tornado... Proprio come il caccia multiruolo con ala a geometria variabile in dotazione all'Aeronautica Militare Italiana. Del resto, quelle due ventole di estrazione del calore sotto il codone, dov'è posizionato il radiatore, ricordano molto le turboventole poste sotto le ali degli aerei militari. Ma, a guardarla bene. tutta la moto è particolare, nessuna le assomiglia, neanche lontanamente. La ricerca dei particolari poi... Oltre che sulle ventole, l'occhio cade inevitabilmente sulle due grosse viti di giunzione che congiungono i due elementi tubolari, che costituiscono le travi del telaio, alle piastre posteriori in alluminio fuso. Anche il massiccio forcellone in alluminio a sezione differenziata non passa di certo inosservato: a "boomerang", sul lato destro, per agevolare il passaggio del terminale discarico, con capriata di irrigidimento su quello sinistro. Rispetto alla costosissima versione "Limited Edition", che fa gran sfoggio di magnesio e carbonio, e adotta una forcella Ohlins, su questa versione biposto viene utilizzata una meno pregiata ma altrettanto efficace forcella pluriregolabile Marzocchi. Anche la frizione antisaltellamento, il cambio estraibile e le pompe freno Brembo Serio Oro sono"chicche" per veri intenditori. Non c'è che dire, ci troviamo di fronte al trionfo dell'italianità. Ogni dettaglio è curato nei minimi particolari, anche se qualche piccola imprecisione, come il coprisella passeggero non perfettamente raccordato, c'è. E se al solo sguardo, la superbike italiana (soprattutto nella livrea ufficiale grigio-verde che ricorda la moto del"Paso") ti ammalia, una volta messa in moto ti accende il cuore. Il grintoso "sound" del tre cilindri pesarese non sarà raffinato come quello che esce dalle canne d'organo della MV F4, ma non è certamente meno affascinante, forse solo un po' più "sporco".

Benché la temperatura non sia proprio primaverile, un flebile sole lascia un po' di spazio per qualche bella curva... decido di portarla un po' a spasso. Che la Tornado non sia proprio una libellula lo si capisce immediatamente e in città sembra goffa e impacciata, oltre a vibrare come un frullatore. Ma appena ci si lascia la "jungla urbana" alle spalle tutto cambia. Il motore canta più allegramente, il peso non sembra più un problema e le vibrazioni, seppur ancora avvertibili, non sono più così fastidiose. E finalmente davanti a noi si scopre l'Appennino con le sue curve invitanti. Sui tornanti lenti la tendenza dell'avantreno a chiudere è piuttosto marcata e lo sforzo sulle braccia è decisamente avvertibile, mal'ottima progressione del motore toglie sempre d'impaccio. In uscita di curva il tre cilindri spinge forte e con continuità. Attenzione, non siamo ovviamente ai livelli delle attuali superbike, ma il divertimento è assicurato. Nelle curve medio veloci, poi, sembra di essere su un binario. E qualche piccolo scoppio in fase di rilascio rende tutto ancora più gustoso. Le sconnessioni dell'asfalto vengono ben digerite dall'ottima ciclistica, e non sembrano infastidirla.

Ma è tra i cordoli che l' "albatros" Tornado da' il meglio di sé. Perché, come il grande uccello marino che vola incontrastato nei cieli, anche la superbike Benelli necessita di ampi spazi per essere sfruttata a fondo. E qui entra in gioco la raffinatezza dei suoi componenti. La frizione antisaltellamento lavora in modo eccellente e anche nelle staccate al limite la moto non si scompone mai. Nelle chicane lente, gli oltre 200 kg si fanno sentire, ma non mettono mai in difficoltà. La solidità dell'avantreno, inoltre, è tale che, ad ogni curva, sembra sempre di essere molto lontani dal limite. E allora viene da chiedersi: perché una moto così, che già nella versione standard offre una buona base per le corse, nel mondiale Superbike raccolse poco più di niente? Che dire, a volte un buon progetto non è sufficiente per poter contrastare avversari che, pur disponendo di un mezzo alla base qualitativamente inferiore, hanno maggiori possibilità d'investimento. I suoi 136 cv, comunque buoni per l'epoca, fanno quasi tenerezza al cospetto degli oltre 190 di cui dispongono le odierne quattro cilindri superbike. Ma chi, come me, ha scelto una Tornado, non l'ha fatto certamente per la fredda legge dei numeri. Scegliere una moto così, quasi artigianale, e non certo affidabile quanto una giapponese, è una scelta di cuore. Perché di fronte ad una moto così ti senti travolgere dalla passione. La stessa passione che negli anni 60 e 70 travolse campioni come Provini, Pasolini, Saarinen e Carruthers che, in sella alle motociclette del leoncino, sfidarono a testa alta l'agguerrita concorrenza. Salire su una Benelli è come cavalcare un pezzo di storia del motociclismo, quello "vero", fatto di uomini, coraggio e passione. E abbiate pazienza se la vostra Tornado, ogni tanto, vi giocherà qualche scherzetto poco gradevole. Perché ogni volta che l'accenderete vi conquisterà nuovamente il cuore, e tutto il resto non avrà più importanza.



MV Agusta Brutale 990R  1090RR


Dopo aver stupito il mondo negli anni novanta con la Ducati 916 prima e con la MV Agusta F4 750 poi, nel 2000 MassimoTamburini, seguendo il nuovo filone delle naked sportive , diede forma alla nuova MV Agusta Brutale 750, versione nuda estrapolata direttamente dalla sportivissima F4. E come già era successo ai tempi della 916 e della F4, anche la Brutale , di colpo, fece invecchiare la concorrenza. Compresa quella Ducati Monster che fino ad allora era stata la naked sportiva di riferimento. Inconfondibile il suo profilo, cosi come gli "scarichi a fetta di salame" e il fanale a goccia, divenuti fin da subito gli elementi distintivi della naked varesina, un marchio di fabbrica insomma. E poi, quel traliccio e quello scultoreo forcellone monobraccio al retrotreno... da perderci la testa! L'icona della bellezza su due ruote era finalmente realtà, e i numeri per candidarsi al ruolo di migliore naked sportiva di tutti i tempi, sia in pista che su strada, c'erano proprio tutti.


Gennaio 2015... Dopo un anno sabbatico in sella alla Kawasaki ER-6F di "famiglia", la voglia di tornare in sella ad una moto "maschia" è tanta, tantissima. Certo, c'è sempre la Tornado, ma è troppo estrema ed inadeguata per le strade attuali, ormai ridotte come sappiamo. E poi, da oltre un anno e mezzo riposa tranquilla sotto un telo in garage. Perché disturbarla? No, qui ci vuole qualcosa di nuovo, di diverso, qualcosa come... una Brutale. Più precisamente una 990R! Una Brutale di seconda generazione quindi. Più curata nei dettagli, dove spiccano gli indicatori di direzione anteriori inseriti negli specchi retrovisori e un nuovo codino, realizzato in alluminio, che incorpora la doppia unità ottica a led e gli incavi di appiglio per il passeggero. Anche il bellissimo faro a goccia è stato rivisto, ora è leggermente più grande. E pur non essendo una versione speciale come la Serie Oro, che sfoggia magnesio ovunque, la componentistica resta sempre di primo livello. D'altronde si tratta sempre di una MV.


Giriamo la chiave di accensione e dopo il check avviamo il motore. Subito una piacevole sinfonia si diffonde nell'aria. Sinfonia che, ai primi colpetti di gas, muta repentinamente in un ruggito. A buon intenditor poche parole! Innestiamo la prima e partiamo. Fin dai primi metri la sensazione è quella di essere sopra un motard, seduta alta e manubrio vicinissimo. Cavoli, un motard da quasi 140 cavalli! Affrontiamo la prima rotatoria e già facciamo i conti con un on-off di certo non malleabile. Pazienza, ce ne faremo una ragione. E poi, strada facendo, ci si abitua a tutto. Come all'erogazione, piuttosto appuntita nonostante l'addolcimento a cui è stata sottoposta questa seconda generazione di Brutale. Non oso pensare alla prima! Lasciamo la città e ci dirigiamo verso l'Appennino, verso quelle curve tutte da pennellare. Ed eccole finalmente! Seconda, terza, quarta... e ancora... quinta, sesta... Il motore infinito della Brutale ci permette di filare via dalle curve medio-lente anche con i rapporti più alti inseriti. Anzi, dai tornanti, consigliamo di uscire in terza marcia perché in seconda la spinta è davvero troppo forte per la strada, con il muso che punta al cielo. L'ottima ciclistica digerisce bene le asperità dell'asfalto e l'avantreno trasmette sempre fiducia al pilota. E anche in presenza di avvallamenti o buche in piena traiettoria, la moto non si scompone mai più di tanto. E' bella da guidare la Brutale! Tanto che una volta raggiunto il bar per la consueta sosta caffè vorresti tornare giù e risalire ancora e ancora e ancora... Non ci resta che provarla tra i cordoli.


E tra i cordoli ci siamo stati sì, non a cavallo della nostra 990R però, ma in sella ad una ancor più raffinata 1090RR (1078 cc e 144 cv contro i 998 cc e 139 cv della 990R), dotata di un pacchetto elettronico di ultima generazione, comprendente due mappature e otto livelli di traction control, e di un ammortizzatore di sterzo rotativo progettato esclusivamente per lei. Finalmente possiamo darci del gran gas senza alcun rischio, se non quello di non voler scendere più. Perché tra i cordoli la sorella maggiore non ha fatto altro che confermare le ottime doti ciclistiche e di motore che già avevamo assaporato in sella alla nostra 990R. Stabile, veloce e precisa come un rasoio, scende in piega velocemente alla minima pressione sul manubrio, e soltanto nelle chicane lente bisogna lavorare un po' di braccia. Le sospensioni, che durante il test su strada con la 990R ci sono sembrate piuttosto rigide, messe alla frusta in pista, invece, si sono rilevate un giusto compromesso, forse anche un pelino morbide. Intendiamoci lavorano comunque benissimo. Anche la velocità di percorrenza della curva è sensazionale e l'uscita non è da meno. Il motore spinge in avanti con rabbia e si ha l'impressione che l'anteriore viaggi sospeso su un cuscino d'aria fino all'inserimento del rapporto superiore. Pur non sbacchettando, evidentemente l'ammortizzatore di sterzo rotativo fa bene il suo dovere. Come l'impianto frenante del resto, sempre all'altezza della situazione anche dopo numerose tornate a vita persa (per quel che ci concedono le nostre possibilità).

Pur meno radicali della prima generazione (quella delle 750, 910, 989 e 1078), queste 990R e 1090RR restano sempre e comunque delle purosangue. Quindi, occhio con il gas!


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